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26 Aprile 2015 – IV Domenica di Pasqua (Anno B)

giovedì 23 aprile 2015
26 Aprile 2015 –  IV Domenica di Pasqua (Anno B)

 “Gesù buon pastore:
le pecore che non sono di quest’ovile

 

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

(Gv 10, 11-18)

 

L’immagine del Buon Pastore è già presente nel Vangelo di Matteo e in quello di Luca; già in essi esprime, con rara efficacia, l’attenzione dolcissima del Salvatore per il peccatore e delinea l’etica tutta cristiana del perdono.

Nel Vangelo di Giovanni, perdendo forse un po’ di grazia poetica, subisce una sorta di dilatazione di senso e diviene trasparente metafora dell’autoimmolazione sacrificale del Cristo: il Buon Pastore che si muove in cerca della pecorella smarrita e, caricandosela sulle spalle, la riconduce all’ovile è esattamente Cristo che s’addossa i peccati del mondo, fino all’offerta della propria vita. C’è, inoltre, l’idea della mistica unità fra il pastore il suo gregge,  a raffigurare la comunione di conoscenza e d’amore che, dal Cristo e i suoi fedeli, si estende fino al Padre e che sembra delineare il mistero della Chiesa.

E c’è, infine, l’annunzio di una salvezza che scavalca le frontiere tra ebrei e gentili e si propone universalmente all’intera umanità.

Si capisce perciò come, grazie a Giovanni, la parabola del Buon Pastore, già tanto intensa nei Vangeli sinottici, si arricchisce di un’ulteriore carica caritativa e salvifica, diventando la parabola per eccellenza del mondo pagano in conversione.

Di lì si sporge fino a noi, confacendosi singolarmente a una situazione come la nostra, di credenti chiamati a vivere in un mondo attraversato da segni subitosi e, addirittura, in fuga dal Pastore.

In realtà, anche se (per assurdo) la pecora smarrita fosse oggi il mondo stesso, quello che il Buon Pastore continua ad insegnarci è il contrario della condanna, della chiusura o della resa.

È la sollecitudine per il mondo, nonostante tutto.

È la fedeltà al mondo.

È di situarci in servizio d’amore trepidando, e operando, proprio per chi ci è più lontano, come diceva Gesù, per “le altre pecore che non provengono da questo recinto”.